sabato 24 luglio 2010

Una cosa delirante che faremo ancora (6)

Stamattina abbiamo fatto una cosa ignobile, quasi turpe. Una di quelle che il turista intruppato non dovrebbe nemmeno permettersi di immaginare.
Stamattina ci siamo alzati alle 5.00 e siamo andati a vedere l'alba sul mare. Poche nuvole basse sulla linea dell'orizzonte non ci hanno impedito di godere lo spettacolo della natura che si risveglia: la bassissima marea (due dita d'acqua su un isolotto di sabbia), la sabbia fresca e pettinata dalla brezza notturna, i gabbiani signori assoluti del bagnasciuga e del cielo. Tutto ciò senza pagare alcun biglietto, senza tavole sinottiche, senza gabbie o teche dentro le quali sbirciare.
Il sole che sorge.
I pargoli erano fuori di sé dall'eccitazione e raggianti di poter correre, sguazzare o saltellare in tutta libertà. Questo sentimento a loro piace tanto, ma piacerebbe da morire anche a noi adulti poterlo vivere identico ogni tanto.
Così, approfittando di una spiaggia quasi deserta, ci siamo avviati per una lunga passeggiata sulla riva. Vista da lì, la città balneare offre di sé una prospettiva inedita e decisamente interessante. Erano davvero tanti anni che non la guardavo da lì.
La pletora di alberghi, uno dietro l'altro come un esercito impettito, dispiega tutta la forza, simbolica e non, dell'industria lumpen-turistica locale. Gli imprenditori della prima fila sul mare, quelli che in anni senza vincoli hanno saputo immaginare un futuro di economia e sviluppo in un territorio fatto solo di sabbia e zanzare. Veri e propri pionieri, persino vagamente visionari: sono stati i primi ad arrivare e, come in un famoso brano del Mistero Buffo di Dario Fo (ciò a cui mi riferisco è l'ultimo minuto circa di questo video), hanno transennano, chiuso, segnato confini, "questo è mio, la sabbia è mia, il mare è mio". Ho il contratto firmato da Dio.
Lì sopra hanno costruito le loro fortune personali confondendole con quelle di un'intera comunità che all'epoca era ancora davvero un villaggio di pescatori e poco altro.
Il primo albergo costruito in zona "marina" è ancora lì, ben visibile dalla riva, e tutto sommato sempre consono nel suo stile sobrio, con quelle linee regolari. Il resto è un'infilata di fabbricati geometrili. Mattoni e alluminio, cemento e verde: più che un esercito, un'armata brancaleone della ricchezza rincorsa (e raggiunta, in alcuni casi). Se si volesse rendere visibile la parola deregulation basterebbe imbracciare una videocamera e fare una carrellata sui casermoni tutti uguali eppur completamente diversi uno dall'altro, in un'accozzaglia di stili (si fa per dire...) che rendono unico l'obbrobrio visuale della città balneare cresciuta senza senso e senza criterio che non fosse quello di una imprenditoria selvatica. L'unica linea seguita è stata quella dritta e sabbiosa della costa.
Così, lo splendido lungomare pieno di palme citato in qualsiasi guida o depliant o articolo di giornale, in Italia e all'estero, fa da contraltare alla tristezza dell'edilizia del boom. E anche di quella contemporanea che ha saputo realizzare quanto di più brutto: in lontananza si staglia un terribile fabbricato (non sono riuscito a capire cosa fosse) che ha lo stile di un laido espositore di patatine da autogrill. Solo, in formato palazzone: nel caso si trovasse a passare di qui King Kong.
Per altri versi, quello sviluppo ha avuto un suo senso di democraticità: tutti hanno avuto un pezzetto di reddito, basta guardare la spiaggia. Democristianamente, l'arenile è stato diviso in centinaia di spicchi e fettine, per accontentare quante più famiglie possibili e dare loro un accesso alla nuova industria che nasceva. Adesso, basta guardare il colore degli ombrelloni (a ogni colore, un diverso gestore) per capire che in un solo chalet, gestito da Tizio, è possibile che la spiaggia sia invece gestita da Caio o Sempronio, in un delirio di divisioni e confini. Fino a qui, è roba mia e pagate a me; di là c'è un altro a cui chiedere.
La città balneare, si sarà capito?, è quella dove sono nato e che adesso rivedo una o due volte l'anno. Certi cambiamenti quindi me li trovo davanti un po' all'improvviso e mi colpiscono. Non come chi ci abita e la vive giorno dopo giorno e a quei cambiamenti si assuefa lentamente e magari li digerisce pure. E li capisce, se anche non dovesse amarli.
A noi, ormai un po' turisti un po' cittadini per affetto, restano comunque cartoline personali. Un'alba sul mare, per esempio. O una nuotata nell'acqua limpida. Basta non guardare troppo. E non farsi tante domande...
(fine)

Ah, dimenticavo: l'albergo pionieristico fu chiamato, profeticamente (e si chiama ancora), Hotel Progresso.

2 commenti:

  1. hotel progresso... quasi futurista

    quando abbiamo smesso di vedere le cose incluse in un contesto?

    quando abbiamo iniziato a costruire cose/case e non a progettare città e spazi urbani?

    può lo spazio/tempo di una guerra mondiale svuotare il senso estetico di una nazione?

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  2. @amanda: lo spazio/tempo di una guerra mondiale, e il suo dopo soprattutto, lo riempì quello spazio, di promesse per il domani. Per il futuro non per il fu-turismo. Poi qualcosa è cambiato e lo spirito dei padri costituenti, della voglia popolare di ricominciare si è corrotta, negli anni, con puro spirito cialtronesco. Molte cose ai cittadini si possono senz'altro rimproverare ma la classe dirigente (quella grande Statale e quella locale) che arrivò subito dopo quel primo entusiasmo ha parecchio da scontare. Penalmente, secondo me...

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