lunedì 31 agosto 2009

Gli accessori del babbo (7): il dentista

Il dentista nasce con te: il giorno che vieni al mondo, una qualche divinità beffarda te ne assegna uno. Come compagno eterno di vita, quello e non un altro.
Il dentista nasce con te ma quando ti visita la prima volta, verso gli otto o dieci anni, Egli ha già i capelli bianchi. Almeno brizzolati.
Se sei fortunato, comincerà col guardarti i denti da latte come se fossero una miniera d'oro. In effetti, nella norma, lo sono.
Se invece sei semplicemente normale, non appena ti guarderà in bocca, toh!, cosa trova? Ma una carie, naturalmente. Ricordo un gelatone (limone e cioccolato) che non finiva mai, il sangue sputato nell'aiola di un albero, il buco caldo e ferroso nella fila dei denti. Avevo una decina d'anni e, a quel tempo, di carie i denti potevano morire.

Il dentista poi fa carriera. Anzi la fate insieme.
Egli impara una nuova tecnica per l'apicectomia e la sperimenta su di te; il materiale ipertecnologico per le otturazioni? Il candidato ideale a provarlo sei proprio tu; il nuovo anestetico e la diga e il trapano laser. E.
Tutte le tue prime volte, sono anche le sue: bandierine nella carriera di entrambi. La tua, di paziente molto paziente.

Poi càpita che Egli e i suoi capelli bianchi siano ormai troppo bianchi. Andrà in pensione ma ti lascerà nelle amorevoli mani del suo successore.
Il suo delfino.
Il suo laureando.
Che capelli bianchi non ne ha e anzi, stavolta, è praticamente un tuo coetaneo. Finalmente crescerete insieme, su quella poltrona, perché anche Lui vorrà testare nuove tecniche, materiali rivoluzionari, terapie mai affrontate prima.
Lui ti farà vedere cose che voi umani.
Ma più di tutto, vedrai la sua rapida ascesa snocciolartisi davanti agli occhi attraverso le riviste della sala d'attesa.
Si era cominciato con banali riviste di viaggio (a dire il vero, ultimamente con mete sempre più esotiche ed esose) e, come-farne-a-meno-in-sala-d'attesa, l'immarcescibile "Quattroruote". Anche il quotidiano, all'inizio, era uno qualsiasi: "Il Resto del Carlino", mettiamo. Ma rigorosamente indietro di almeno un giorno. Noblesse.

Pian piano, il giornale di viaggi si è trasformato in rivista di yachting e a "Quattroruote" si è sostituito dapprima l'house organ della Mercedes Benz provinciale, poi quello nazionale e infine la rivista patinata del Club Mondiale dei Collezionisti di Auto Storiche. All'inizio qualche fascicolo sparuto, poi l'intero corpus filologico.
Il quotidiano ora è "Il Corriere della Sera". Quasi sempre del giorno.

All'ennesima attesa di depulpazione, come affettuosamente la chiama Lui, sarà l'ansia, saranno le allucinazioni visive ma ti rendi conto che tutte le riviste sono state sostituite da materiale iper-specialistico su investimenti mobiliari e immobiliari, finanza, transazioni di capitali. In un angolo è spuntata persino "Famiglia Cristiana" (una improvvisa conversione?!) e il quotidiano adesso è "Il Sole 24 Ore". Però l'edizione del giorno dopo.

Ormai la tua carriera di paziente è al culmine. Lui ti ha fatto di tutto, ti ha rigirato la bocca come un calzino (tipo: i denti fuori, le guance dentro). Ha curato quel che poteva curare, sezionato, incapsulato, otturato.
Eppure.
Eppure ti manca qualcosa. Eppure ti senti insoddisfatto. Ormai vi date quasi del tu (non sia mai!, la deontologia professionale lo vieta) e non potrà più stupirti con nulla.
Dolore, in tanti anni, non ne hai mai sentito. Mai.
Eppure.
Persino la tariffa è ormai, almeno così dice Lui, da trattamento familiare (quasi come una pensione al mare).
Eppure.

Poi, quando il 28 di agosto, sotto il sole canicolare delle 14.30 (mai ricevere un babbo quando è lucido), sudato come un cammelliere, gli porti la donna grande, capisci che finalmente quello che ti mancava è arrivato.
La soddisfazione più grande ti pervade l'animo.
L'ultima cosa che ti rimaneva da fare in questo campo: puoi felicemente passare il testimone. Anche tua figlia ha finalmente incontrato il suo dentista, quello coi capelli bianchi. Anzi appena brizzolati.
L'apparecchio ortodontico è pronto, sparluccicante, lì sul tavolo.
L'unico, ma proprio l'unico, che tu non abbia mai avuto.

"Per la tariffa, ci trasferiamo di là, in ufficio: staremo più comodi". Finalmente svenire dal dentista può diventare un piacere.

domenica 30 agosto 2009

Fraternità (ma anche libertà)

Stamattina, ai pargoli:
"Chi vuole venire all'edicola con me?".
Lui guarda lei. Titubante.
Lei guarda me e risponde: "No, io non vengo".
Lui si gira, ancora dubbioso ma non può che confermare: "No, io non vengo. Nemmeno".

Il libero arbitrio.
In versione due punto zero: fratello adorante.

giovedì 20 agosto 2009

Scherzi

Oggi, per la prima volta, l'abbiamo fatto.
Di salire coi pargoli in cima a un colle che ci era piaciuto e che, comunque, sta pur sempre sui 2.400 metri e rotti. E sensibile anche il dislivello visto che si partiva da 1.700.
Insomma, oggi l'abbiamo fatto ma già ieri ci avevamo girato attorno. Per vedere un po' più da vicino ma anche per sondare gli umori della truppa.
Sì, ci sarebbe piaciuto proprio portarli in cima a quel rifugio. Poi in vetta.
La profe allora ha cominciato ad indicare da sotto, all'uomo piccolo, quale dovesse essere la nostra meta, lassù, e ha azzardato:
- Vedi, uomo piccolo, domani noi saliamo fino in cima, lassù.
Lui ha alzato gli occhi, flemma in carne ed ossa:
- Mamma, non facciamo scherzi eh!

Oggi, invece, scherzi non ne ha fatti nessuno.
La donna grande ha già mostrato più volte il suo grande carisma di stambecco e ha saltellato su erte e sgrebeni esposti come una libellula. Aerea.
L'uomo piccolo non ha aperto bocca e inciampando in tutto, e dico tutto, quel che c'era (sassi, ciuffi d'erba, se stesso) è arrivato in cima, quasi ignaro della piccola impresa compiuta: quella di salvarsi dal precipitare.

Insomma, missione compiuta.

mercoledì 19 agosto 2009

Marketing al Sass de Putia

Nascosti dentro una semplice maglietta, a sudare arrancando su un sentiero dolomitico, donne e uomini sembrano tutti uguali.

Ma.

(-Dovremmo ricordarci di farci fare quell'etichetta... Appena rientriamo in ufficio, mettiamo sotto il grafico... Altrimenti poi rischiamo di perdere qualcuno dei nostri ammiratori...).

Ma qualcuno è più uguale degli altri.

domenica 16 agosto 2009

Alla finestra

La nostra ultima vera bucolica settimana di vacanza comincia bene.
Non c'è che dire.

martedì 11 agosto 2009

Gli accessori del babbo (6): l'area di parcheggio

No, nemmeno io l'avrei mai detto.
Poi però oggi, nel viaggio di ritorno dalla nostra parte di vacanza marina (un ritorno molto lento e confortevole, fatto di strade secondarie, pochissima insopportabile autostrada) è avvenuto il fattaccio. E anche il parcheggio è entrato di diritto nella lista degli accessori del babbo.

E' successo che ci siamo fermati in un minuscolo borgo della Valnerina (attraversatela, se vi capita, questa splendida appartata valle che in qualche tratto sembra un canyon fuori dal tempo...) e in quest'area di parcheggio un signore stava dicendo all'amico che lo accompagnava che un tale Luca era irreperibile.

La parola mi ha colpito e immediatamente ho pensato che anche a me piacerebbe molto rendermi irreperibile ogni tanto, per un po'. Una volta si sarebbe detto "scomparire dalla vista di qualcuno".
Così mi sono chiesto cosa volesse dire oggi, per noi abitanti di quest'epoca di connessione globale, la parola irreperibile.
Non più scomparire dalla vista di qualcuno, quello adesso lo facciamo molto più spesso di pochi anni fa: vacanze lontane, lavoro lontano da casa, abitando in città anche i contatti con gli amici e gli affetti sono più distanti e più sporadici. Essere irreperibili oggi vuol dire forse non far sapere dove siamo, scomparire dall'orizzonte mediatico: telefonino spento, niente internet, no mail. Puff, nessuno saprebbe più dove ci troviamo.
Sfuggire dal controllo.

Dopo un altro mezzo secondo si è attivato (strano con quel caldo, era circa l'una sotto il sole cocente, o forse proprio per colpa del caldo) un ulteriore stravagante neurone, una connessione (un'altra?!) imprevista: ma questa ossessione del controllo non ce l'abbiamo noi coi nostri figli?
No, eh?!
Sempre addosso sulle regole di comportamento (ossessione improvvisa di massa per il galateo?) come se volessimo normalizzarli, nessuna eccezione è concessa: tempo addietro i bambini (io per primo) si sporcavano mangiando dolci col cioccolato o rovesciando il bicchiere con l'aranciata. Oggi no, oggi non si può più. Con la scusa dell'autonomia (autonomia la chiamiamo, eh?!) bisogna imparare a comportarsi come in caserma. Forse abbiamo paura di sporcare il completino nuovo nuovo da 200 euro...

Sempre addosso sul "dove state andando?".
Oggi, vicino quel parcheggio, c'era un torrentello. Appena i pargoli si allontano di un metro col chiaro intento di scendere sul greto, noi due in coro saltiamo su, con mezzo panino ancora tra le fauci: "dove state andando?! Aspettate che uno di noi due venga con voi!!!".
Quando ero bambino, sono sceso sul greto di un torrentaccio sporco e maleodorante che scorreva vicino la mia casa di allora centinaia di volte tutto solo, al massimo coi miei coetanei. Eppure sono sopravvissuto. E anche le statistiche non parlano di "morte da scomparsa nei torrenti" dei pargoli, non almeno in maniera significativa. No.
Eppure noi lì, addosso. Controlliamo.

Controlliamo che in casa abbiano i calzini antiscivolo (potrebbero cadere e battere il naso nel parquet da 10.000 euro il metro quadro. Rovinandolo? O facendosi male loro, poverini?!); controlliamo che non piglino caldo/freddo, che non sudino troppo, che non sudino poco ("avrà qualche disfunzione chi suda poco?"); controlliamo che non cadano dalla bicicletta (col risultato che imparano ad andarci davvero solo a 22 anni, se hanno fortuna). Insomma controlliamo controlliamo controlliamo...

Ma.
Siamo onesti.
Diciamo(ci) la verità: ma stiamo controllando loro oppure controlliamo le nostre ansie e le nostre paure?!

Insomma, continuando così, i nostri figli potranno o dovranno bellamente cancellare dal loro vocabolario la parola irreperibile: li doteremo prestissimo di telefonino senza tasto off, possibilmente in diretta connessione con la loro corteccia cerebrale (ricordate "Strange Days" di Kathryn Bigelow?) col quale potremmo sapere non più solo dove sono e con chi ma addirittura controllarne il chilometraggio negli spostamenti e vedere il volto di chi è con loro e conoscere le loro sensazioni. Sapere come stanno. Quando stanno.
Poi però dovrebbero chiamarci in continuazione per farsi spiegare, passo dopo passo, come pedalare senza interruzioni o come cadere dalla bici facendosi meno male possibile. E per allacciarsi le scarpe (cosa che non gli insegniamo più, da quando ci sono le favolose scarpe col velcro) frequenteranno un esclusivissimo master. Naturalmente dopo la laurea.

In un'area di parcheggio succede anche questo.
Non crederete mica che ci si possa anche dare la risposta, vero?
Lì, su due piedi, sull'asfalto rovente?!
Pfui.

sabato 8 agosto 2009

Gli accessori del babbo (5): la crema all'ossido di zinco

Ultimamente mi capitava spesso di tornarci con la memoria, al tubetto di crema all'ossido di zinco. A quello che voleva dire, in termini di accudimento "babbesco".
In realtà, all'inizio, l'avevo presa con la solita (auto)ironia: essendo stato un consumatore folle della medesima (la usavo SEMPRE, anche quando i culetti della donna grande o dell'uomo piccolo non ne avevano nessun apparente bisogno), ne avevo intravisto il coté socio-economico, al momento dello spannolinamento.
Immaginavo i diagrammi con le curve della distribuzione del prodotto nella nostra regione: una débacle, il crollo totale dei fatturati per l'azienda produttrice. Chissà poi come saranno finiti i lavoratori della medesima...

Invece poi, pensandoci e ripensandoci, ho capito quanto per me fosse importante quel gesto. Quel momento dell'accudimento che era tutto mio: l'ho sempre considerato tale, anche se i cambi di pannolino ce li siamo tranquillamente divisi, tra me e la profe. Più di notte, la profe...
Era la responsabilità totale del benessere di quei culetti che mi imponeva di essere irreprensibile, una specie di invasato dell'applicazione coatta di quel miracoloso unguento.
In effetti, avevamo trovato una portentosa marca che aveva naturalmente effetti magici sulla rosea cute, ma soprattutto effetti fantastici sulla psiche di chi la applicava: se mai fosse capitato il giorno del culetto un po' più rosso o screpolato del solito, una sola applicazione della magica crema faceva ritornare la pelle un petalo di rosa.
L'ho adorata, era la mia coperta di linus, la certezza di esserci e di servire a qualcosa: addetto ai culetti, mica quisquilie! Insomma, così a distanza di anni, ho elaborato e capito l'importanza di quei gesti di accudimento. Il momento dell'applicazione, del massaggio, del richiudere il pannolino.

Dietro quel metodico, ossessivo utilizzo della crema all'ossido di zinco si è nascosta, evidentemente, la mia prima comunicazione con quelle creaturine che erano allora.
Oltre le difficoltà di capire qual era il mio spazio. Il mio ruolo, se ce n'era uno. Oltre la voglia di scappare, talvolta. Di non essere all'altezza, di non reggere quella fatica che sembrava immane. E che invece, oltretutto, era molto sul groppone della profe.
Si diventa grandi passando anche di lì.
Quando si impara anche quella comunicazione.
E tutto può succedere per grandi passaggi, per elaborazioni successive o, semplicemente, ripensando ad un centimetro di crema che vien fuori da un tubetto.
Perché appunto i grandi cambiamenti possono prendere il via, anche, da un tenue soffio.

"Ci sono".
"Sono qui, anche oggi".
"Sempre".
"Anche quando sembra (e sembrerà, talvolta) che non ce ne sia bisogno".

venerdì 7 agosto 2009

Rupetraversa

Il campo da calcio, irregolare e sbrendolo, lo si vedeva laggiù, in fondo. In quella conca tra i colli di Rupetraversa.
Che fosse poi così malmesso lo si capiva soltanto avvicinandosi, guardandolo da vicino. Come sempre.
Per noi, ma soltanto per noi, che scendevamo dal sentiero con la polvere che ci carezzava i polpacci, il campo si chiamava maracanà. Perché eravamo ragazzini e pensavamo in grande.
Avevamo il nostro pallone, non di cuoio ma di plastica bella pesa, e gli indumenti appositi, esclusivamente dedicati alla partita di pallone.

"Andiamo 'ggiù le fonti" era questo il grido di battaglia, la frase chiave che, pronunciata il giorno prima al tramonto, ci metteva all'erta per tutta la sera. A prepararci gli scarpini (semplici scarpe da tennis ma chissà quante volte carezzate), i calzettoni e i calzoncini. La maglietta aveva un suo rito.
Non c'era, allora, quel profluvio di riproduzioni di maglie da calcio che infettano i ragazzini d'oggi. Avevamo metodi naturali. Molto naif, dicevamo allora. E forse, senza saperlo, non avevamo proprio scelto il termine esatto.
Funzionava così.
Ci eravamo procurati una scatola di scarpe da jogging di una nota marca sportiva. Da quella avevamo ritagliato la sagoma del logo, un animale, a mo' di stencil. Poi applicavamo il cartone così preparato sulla maglia (naturalmente sul davanti, essendoci dietro il numero amorevolmente cucito dalle rispettive madri) e tenendo tutto ben fermo provvedevamo ad una pennellata di una vernice, la ricordo rossa rossissima, terrificante: un prodotto iperchimico che, sempre nei miei ricordi, doveva provenire dalla falegnameria industriale dove lavorava mio padre.
Ma magari era vernice da biciclette, che anche quelle passavano sotto le nostre mani e la nostra creatività pre-adolescenziale.

C'erano anche le porte. Rigorosamente di legno.
Rigorosamente instabili e traballanti perché, rigorosamente, piantate a terra con qualche approssimazione. Ad ogni colpo di pallone su un palo, tutto rischiava di cadere. Era quella approssimazione la nostra virtù, la forza che ci guidava giocando. Quella che teneva in piedi anche noi (mai un graffio, mai una sbucciatura) tra la polvere gessosa e il sole canicolare.
La porta non cadde mai, nemmeno sotto i calci di punizione battuti dal più grande di noi, un cugino già ben oltre l'adolescenza ma al quale il richiamo della partita faceva dimenticare qualche ragazzina che invece andava ai giardini. A mangiare un ghiacciolo, già di mattina.

Quella maglietta l'ho conservata per anni.
Oggi chissà dov'è. Ma se dovessi cercarla, mi sembra chiaro dove potrei trovarla.
Cercando negli anfratti tiepidi delle memorie estive.
Rimirando dall'alto della strada quel campo laggiù, nella conca tra i colli. I colli di Rupetraversa.
Campo che oggi non c'è più perché il nuovo che avanza ci ha buttato sopra un po' di cemento: il turismo, e ci mancherebbe, prima di tutto.
Prima dei sogni di qualche ragazzino malinconico.

giovedì 6 agosto 2009

GENiETICA

Stamani le grida di gioco sulla spiaggia rotolavano addosso a una brezza malandrina. Anche i pargoli si sono rincorsi, sulla sabbia e tra le onde.
Saltandole, le onde.
Fin quando l'uomo piccolo ha trovato una conchiglia bucata.
Allora si son rincorse le idee e gli entusiasmi.

"Bella! Teniamola come ricordo".

"Che bella, potremmo usarla per farci una collanina".

"Io ho un'idea: piantiamola sotto la sabbia così cresce un albero di conchiglie bucate".

Chi sarà mai il genio?

mercoledì 5 agosto 2009

Scienza, non fantascienza

Per fortuna, al mare, ogni tanto piove. Così il turista medio può dedicarsi, senza sensi di colpa (aver lasciato per due ore il proprio turno in spiaggia...), allo shopping.

Anzi, a dire il vero, personalmente sono convinto che il temporale estivo sia un'invenzione delle APT in collaborazione con le associazioni di categoria dei commercianti. Ma di tale teoria non ho prove scientifiche per cui consiglio vivamente di non prenderla per oro colato.
Anche se, prima o poi, magari su wikipedia, la conferma la scovo.

Comunque, la malattia dello shopping si diffonde nell'aria elettrica stessa del temporale e, come un virus, è assolutamente infettiva. A diffusione immediata: l'A/H1N1 è un dilettante al confronto. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza dell'intera popolazione attiva del comprensorio presso il polo commerciale più grosso della zona.

La follia è totale, i carrelli sono scomparsi dagli appositi dispensatori, tutti siamo preda di frenesia, come se le merci (tutte, anche quelle che NON ci interessano) potessero scomparire all'improvviso dagli scaffali.
Dovendo affrontare il prossimo pezzetto di estate sulle Dolomiti, la famiglia si dirige baldanzosa verso l'ingresso del supermercato dello sport dove, a prezzi marzianamente bassi, puoi trovare oggetti di buona qualità, utilizzabili più di una volta (non si disintegrano dopo il primo utilizzo), funzionali ed efficaci allo scopo. Sarà che sono francesi? Chissà...

Ma lo shopping, ho notato, è anche un virus mutante così invece di dotarci di attrezzatura montana, ci siamo così espressi: la donna grande ha comprato un paio di scarpine di tela tipo espadrillas. Rosa. L'uomo piccolo ha optato per un cerchio (dicesi volgarmente hula hop) da ginnastica ritmica, coraggiosamente abbrancato (e mai più mollato, nemmeno ai tentativi di due indispettiti genitori) al reparto medesimo. Cosa ci farà mai?! La profe, ligia al dovere montanaro, si è dotata di due paia di calzettoni e due bastoncini da trekking. Perfetta e francescana come sempre. Desian ha optato per il maipiùsenza globale: l'asciugamano da piscina in tessuto tecnico strizzabile e autoasciugante.
Da piscina che però va bene anche in spiaggia.
Un vero gadget fantozziano.
Ma volete mettere: lo shopping è assurdo sennò non sarebbe shopping.
No?

E poi, come avremmo fatto ad utilizzare quelle borse vuote di cui parlavo qui?
E domani, speriamo, si torna in spiaggia.

domenica 2 agosto 2009

Post scriptum, sul mare. D'estate

Stamattina ho trovato anche una ciavatta vecchia e una cartuccia di fucile da caccia.
Una cartuccia!...
Che vengano sulla spiaggia ad impallinar gabbiani?!
Bah...
Forse maiali.

sabato 1 agosto 2009

Soddisfazioni

Ad essere genitori repressivi e antiqualunquecosa, si possono avere delle soddisfazioni.
Alla veneranda età di appena otto anni la donna grande e ormai quasi sei l'uomo piccolo, i due non conoscevano ancora il piacere di aver avuto... udite! udite!... lo zucchero filato.
Stasera, nel bel mezzo di una balneare notte bianca (ah, che squallore la socialità popolare ridotta a mercanzia!), hanno avuto il loro primo soffice enorme batuffolo di zucchero filato.
Sembravano due torce impazzite di gioia, sprizzavano luce da ogni poro del volto, brandivano le loro due nuvole bianche come trofei di una conquista "senza precedenti". In effetti...

E più esilarante di tutti è stato l'approccio.
"Mamma, come si mangia?!".

Io e la profe ci siamo guardati. Potevamo sbottare a ridere o sentirci delle bestie per averli privati così a lungo di questo piacere.
Indovinate quale delle due.

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